Dall'argilla al mattone (da Tra Arte e Mestieri)
Continua la mia ricerca per ampliare questo tema, sono a proporre un'altra ceramica dell'artista pesarese Bruno Baratti, sempre in una sua realizzazione che abbraccia un mestiere, questo bassorilievo racconta la vita dei mattonai e del loro travaglio; un lavoro dove l'impegno, la fatica e il sudore erano il vivere di tutti i santi giorni.
Il mattone in terra cotta, dopo la pietra, è il materiale più nobile e più antico adoperato in edilizia, è sempre stato ricercato per effettuare lavori raffinati, da eseguire a regola d’arte per rendere "calde" ed accoglienti le nostre case, un prodotto unico nel suo genere, di grande affidabilità, resistente al gelo, al fuoco, agli sbalzi termici, all'usura.
Data la sua manualità, per i popoli antichi è sempre stato più facile produrre mattoni d'argilla che lavorare la pietra, questo, principalmente perché la materia prima era ovunque disponibile in abbondanza, spesso nello stesso posto dove si costruiva.
Il mattone dunque; questo antico parallelepipedo di terra cotta, intrigante per la sua forma, un oggetto semplice ed elementare, componente primario del nostro passato, dal quale non si riesce a togliere più nulla, perché asciugato di tutto è in sé essenziale!
Da questa brevissima introduzione si comprende quanta importanza avesse questa attività nell’economia pesarese, oggi con la facilità dei trasporti le fornaci sono localizzate nella maggior parte dei casi vicino alle cave di estrazione, fino agli inizi degli anni Sessanta del Novecento invece erano posizionate un po' dappertutto e la fabbricazione dei mattoni rappresentava un'importante sostegno all'economia.
Erano perlopiù piccole fornaci, senza grandi macchinari di riscaldamento, di solito a conduzione familiare, o comunque con pochi addetti, i quali dovevano essere esperti e con molta pazienza, per inserire l’argilla negli stampi, per produrre i classici "mattoni fatti a mano"!
Dopo un paio di giorni, i mattoni crudi, dopo essere stati ripuliti dalle sporgenze venivano accatastati in maniera da farvi circolare aria e seccarli, protetti alla meglio da una copertura.
Passato ancora altro tempo, questi venivano disposti nella fornace per esser cotti; era un' operazione che durava più giorni e richiedeva grande attenzione sia nell’alimentare la giusta fiamma che nel controllo della loro solidificazione omogenea.
A cottura avvenuta, quando il fuoco era spento si tamponavano completamente le porte della fornace, per permettere ai mattoni di raffreddarsi pian piano, così si evitava che crepassero per il repentino passaggio dal caldo al freddo.
Immedesimarsi in questo lavoro è un po' come tuffarsi nel passato e rivivere tante memorie, un' vero e proprio "Amarcord" di felliniana memoria, dove il grande regista riminese nel suo capolavoro, in un dialogo, ci propone uno spaccato di realtà romagnola:
Mio nonno fava i mattoni,
mio padre fava i mattoni,
fazzo i mattoni anche me...
Ma la casa mia dov'è che l'é?
Renzo Baggiani 22/04/2015 23:18
"Mio nonno fava i mattoni/ mio padre fava i mattoni/ fava i mattoni anche mè/ ma casa mia in dov'è?!", tratto da "Amarcord" di Fellini ...Sempre lodevoli e ben realizzate le tue documentazioni, Giovanni! Bravissimo e complimenti.
P.S.- Solo quando ho letto tutta la tua didascalia mi sono accorto che la poesia di Amarcord l'avevi scritta già te!! :-))
Claudio Micheli 22/04/2015 13:09
Bellissima realizzazione.Ciao
claudine capello 21/04/2015 22:25
hai ragione è sicuramente uno dei modi piu antichi di costruire .....fai bene di ricordarlo ! complimenti interessante commento cl