Daniele Tinti
Daniele visto da un altro dove
(Vedi http://www.wix.com/paolacastagna/fotografa#!)
Quando la bellezza sposta le montagne
Il mio dire su Daniele Tinti
Traduttore di romanzi inglesi, fotografo dilettante, Daniele Tinti si definisce “Cacciatore di Bellezza”, e la trova ovunque posi il suo occhio. E di questa sua dichiarazione di intenti fa una missione di vita.
Nella fotografia da ritratto la cosa più difficile è tentare di annullarsi a favore della persona ripresa: anche quando cerchi di costruire tutto con attenzione non hai scampo. È come fotografare a teatro, dove l’attenzione è tesa a cogliere ciò che “vedi” senza badare alla scena principale, che invece determina l’evolversi dello spettacolo. C’è chi sostiene che occorra anche molta fortuna: ci credo poco, almeno in questo caso. La fotografia di Daniele Tinti è una retrospezione introspettiva che inchioda lo sguardo: ti senti guardato, scrutato, interrogato, messo in discussione e dipinto come in un quadro antico, sospeso tra lo ieri – un passato che non conosci –, l’oggi – un presente che non vedi –, e il domani – un divenire che non immagini. Non ti lascia indifferente, e questo fa di un ritratto un Ritratto.
Nella ricerca dell’incanto il soggetto raffigurato diventa immagine onirica. Nell’incubo comune, Daniele Tinti attraversa il sogno come un alchimista prepara le sue pozioni. I suo sogni sono fenomeni psichici tangibili che rappresentano soddisfazioni di desideri, e si insinuano nella catena degli atti mentali comprensibili della veglia. Ed è nella veglia che il fotografo osserva i risvegli.
I punti di forza stanno negli occhi dell’uomo che raffigura il presente: l'azione del momento, l’“ora e adesso”, l’hic et nunc diventano la punta di diamante di un fare in pieno movimento statico con la realtà. Questo l’ossimoro che lo abita. Come scriveva d’Annunzio in una pagina del Piacere, la Bellezza è l’“asse interiore” degli artisti e degli uomini d'intelletto, e li preserva tali.
Lo sguardo non conosce futuro, e ha già disperso il passato come pulviscolo al vento. Nelle esistenze antecedenti l’Era industriale vi erano usanze nate per rendere ineliminabile il passaggio dell’uomo, così da significarlo. Ed è così che Daniele Tinti lascia un segno indelebile nella trasparenza dell’immagine, in un ritratto mai ostentato, nutrito da quella grazia “altra” che risulta fuori tempo, demodé, e perciò illuminante in un’epoca, la nostra, dove l’uomo tende aridamente a dimenticare.
Veli di trasparenze, un occhio che attraverso il dettaglio tesse l’elogio del femminile: Daniele Tinti lascia impresse orme senza bisogno delle ombre che ne segnano il cammino, perché di spirito è il suo fare. Le ombre rimangono a noi, che davanti alle sue foto non possiamo fare a meno di chiederci quale destino ci attenderebbe se dovessimo rinunciare alla Bellezza.
Nella natura – la natura umana, la più complessa in assoluto – l’esteta trova la forma, mai ambigua o fine a se stessa. Tinti non è per le piccole imprese, ma per le grandi gesta: nel labirinto dell’esistere è la trappola, l’amore che umilia e l’odio che culla. Quello mancato, il negativo continuo di una pellicola che si sviluppa ai confini del mondo, tra sacro e profano.
La dualità diventa il fulcro di tutto il racconto; la specie è cinica, la questione della sede dell’animo umano è dibattuta. Sarà nel cuore o nella testa? Nella carne o nel pensiero? Forse diffuso in tutto il corpo, come una qualità spirituale propria dell’essere umano.
E qui la concentrazione sul femminile, come origine, come grande madre di una Terra che necessita della forza-donna per la genesi della specie. Attraverso i suoi ritratti Daniele ci impedisce di dimenticare da dove arriviamo e perché: l’encomio del femminile suona come un invito galante a una tavola imbandita a festa, dove il commensale è parte integrante della scena.
Lo “stadio estetico”, incarnato dal fotografo e legato all'esteriorità e all'episodicità delle sensazioni, dei desideri, delle fascinazioni, della seduzione (attiva e passiva) rappresenterebbe, lungo il cammino della vita, un grado di perfezione interiore e di rigore “morale”, un rigore più saldo di quello “etico”.
Per questo, e per tanto altro, Daniele Tinti merita una nota di attenzione. Non scordare, Donna, sembra dire, di essere la radice che tiene l’uomo legato alla terra nella grazia e nella bellezza della procreazione. Nel dire questo ci dona gli strumenti per ammirare senza maschere, senza finzioni, ciò che siamo; a noi la sfida di dimostrarci all’altezza del compito.
Paola Castagna Maggio 2012
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