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Poesia, ma chi ti forgia mai?
Io non ho mani forti
e batto
come posso.
Vorrei ma non posso giungere
allo spessore
che tagli il vento
e voli agile seza affanno
come un respiro morbido
dell'alba quando cresce.
Chi arriva a te
è talento immacolato
e come vi giunga
è scritto
nel limpido e specchiato
lampo della coscienza.
Unico, esangue, altissimo
volo, mai contagiato, dell'espressione
pura
nell'atto di adagiare la veemenza
sulle spire dell'aria
per passione
e farne un canto semplice.
Forse sul tuo mare
aspettavi, tacita, una vela
che scivolasse
assecondando i venti della sera;
per dominare lo sciabordio dell'onda
quando si concede, prona, alla carena
e ascolta, per quanto
giunga flebile e lontano,
l'intraducibile canto.
Non mi aiuta Neruda:
non trovo parole
per metafore sole,
cadute ad una ad una.
Passeranno bianche anche stasera,
perché il sole è pallido,
le nuvole cui affidavo
fughe facili
lontano.
Passeranno e ricorderò come,
ebbro di supina quotidianità,
non ebbi mai il coraggio,
Ho montato le nuvole
col viaggio di ritorno:
quando le rendeva, a mezzogiorno,
il vento nei meriggi di Barbagia.
Su quelle si, su quella bambagia
adagiavo la mia dolce indolenza,
pago di poche note,
nell’immensa casistica
di accordi.
In quella solitudine
era vago ogni presentimento
e l’incertezza mi accodava
al fluire delle nubi:
lo spettatore romantico
sogna l’invisibile
e ciò che non sarà.
Fuggire era imperativo di finzione
e io pagavo per la debolezza
lo scorno di una grande povertà,
ma fuggire restava imperativo di finzione.
Che dolce la ristretta cerchia delle cose,
quando l’orizzonte si dilata e affoga
nella vastità confusa il mio penare !
Il treno è passato una volta, poi si é fermato,
e non ha ripreso la corsa, perché vi salissi esaltato.
Si è affievolito il fervore che credeva eterna
la stagione che comincia a vent’anni:
quando l’illusione si accende e scoppia nel cuore
e muove gli amori e gli inganni,
poi lascia sconfitti propositi e onore
svelando una caterva di danni,
frutto di un frainteso sermone.
Si è dischiusa la verità
a chi credeva che il mondo
girasse secondo la propria intenzione.
Ci appoggiamo ai bastoni, claudicanti e insicuri;
mettiamo le mani sui muri per avere un appoggio
nella nostra andatura che ha perso baldanza e postura
di chi tutto comanda. Ora si va piano e si sbanda.
E invece l’inverno ci manda il rigore e il suo gelo
per dirci della bellezza del cielo, quando, azzurro,
pioveva libertà sconfinata.
Bellezza passata che lascia rimpianto,
come quando l’autunno, dopo l’estate dorata,
ammanta di nuvole il cielo e porta su tutto
i venti dell’altro emisfero:
ogni cosa si stringe
e si accorcia come la carta bagnata.
Come il treno la vita non concede seconda tornata
e allora piango senza ritegno e pudore
per una stagione non consumata abbastanza.
Mi bagno di pioggia e malanno;
mi copro di nuvola e sogno;
mi brucio di sole e di vento:
contento e imbronciato, come il tempo ha voluto.
Il soffio cresce, il buio è rotto a squarci,
e l'ombra che tu mandi sulla fragile
palizzata s'arriccia. Troppo tardi
se vuoi esser te stessa! Dalla palma
tonfa il sorcio, il baleno è sulla miccia,
sui lunghissimi cigli del tuo sguardo.
Eugenio Montale
(da Finisterre, 1956)
Un'altra volta ancora, a passi lenti,
ci lasceremo indietro, di quel giorno,
i sommessi lamenti sulle scale,
ricordando l'amore
che non sarebbe potuto nascere altrimenti.
Se vuoi conoscere il tuo grado di libertà,
chiediti a cosa sapresti rinunciare.
Ad un passo da ieri
Dietro a una curva il mare luccica.
Non sento il rumore dell’onda,
ma so che c’è.
E' perenne moto
che si ripete a seconda del vento e delle correnti.
Le pareti di roccia non hanno colore:
forse un grigio disegnato da ombre e riflessi,
da arbusti che ondeggiano lenti alla brezza.
Non sento neppure l’odore che varia con le stagioni.
Alla prossima curva tutto scompare:
non vedo più il mare;
rimane il buio che inghiotte ogni cosa.
Attimi si perdono
osservando i bordi della strada.
Ci sono minuti in cui posso ritrovare tutto di me o niente:
quello che ho fatto o quello che ho rimandato.
Non c’è soglia più difficile da varcare
di quella che non consente di uscire.
La strada bruscamente si contorce
beffandomi ad un tornante.
Sento la forza della sterzata che spinge sui fianchi.
Nella mente pensieri sono in dissolvenza continua.
Gesti automatici fanno avanzare.
Un lungo stridore di gomme che graffiano l’asfalto;
la cintura di sicurezza preme sul petto.
Un attimo:
sospende la vita.
Un brivido è quel che rimane.
La portiera sbatte, come l’aria fresca del mare sul viso su cui gronda sudore.
Dove sono i pensieri di prima? Dove sono i problemi reali? Chi ho dimenticato e chi vorrei avere vicino, ora che il sipario mi si è aperto dinnanzi?
Una luce che non riconosco ondeggia lontana,
mentre a pochi passi dal tremore delle mie mani
un telefono continua a suonare.
(...)
Pace non trovo e non ho da far guerra
e temo, e spero; e ardo e sono un ghiaccio;
e volo sopra 'l cielo, e giaccio in terra;
e nulla stringo, e tutto il mondo abbraccio. /
(...)
Canzone, io t'ammonisco
che tua ragion cortesemente dica,
perché fra gente altera ir ti convene,
et le voglie son piene
già de l'usanza pessima et antica,
del ver sempre nemica.
Proverai tua ventura
fra' magnanimi pochi a chi 'l ben piace.
Di' lor: - Chi m'assicura?
I' vo gridando: Pace, pace, pace. /
le composizioni ormai sono il tuo forte e il tuo genere. complimenti, anche per come mettono la mente di fronte ad un lavorio complesso e ricco, più che il singolo scatto. ciao lucy, monica
Il lungomare, ovvero la linea di demarcazione tra la terra e il mare, ma anche il luogo in cui la terra e il mare si confondono e si fondono diventando una cosa sola. E così le palme diventano quasi salgemma, e così il gabbiano sembra riflettere il luccichio del mare, e così la sabbia arretra di fronte all’immenso mare. Proprio un altro filo di elaborazione e due fotogrammi diventerebbero di un bianco assoluto con le palme e gli scogli a dirci che si tratta di un lungomare, ma questo filo di elaborazione non c’è, proprio perché non è rappresentato il lungomare, ma la sensazione di esso.
Quanto mi piace interpretare (provare a) le tue foto, se poi non ci prendo…pazienza
..in riva
su sabbia di pietre
mi chiamasti...
..il mare si mosse
le palme si piegarono...
..i gabbiani fermarono le ali..
fu così che nacque..
..il vento
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Tatiana Pisella 11/10/2011 16:05
Una bella composizione.Sa' molto di cartaceo,di ricordo,di memoria.
Ciao cara!
Mariana Magnani 06/10/2011 19:41
Poesia, ma chi ti forgia mai?
Io non ho mani forti
e batto
come posso.
Vorrei ma non posso giungere
allo spessore
che tagli il vento
e voli agile seza affanno
come un respiro morbido
dell'alba quando cresce.
Chi arriva a te
è talento immacolato
e come vi giunga
è scritto
nel limpido e specchiato
lampo della coscienza.
Unico, esangue, altissimo
volo, mai contagiato, dell'espressione
pura
nell'atto di adagiare la veemenza
sulle spire dell'aria
per passione
e farne un canto semplice.
Forse sul tuo mare
aspettavi, tacita, una vela
che scivolasse
assecondando i venti della sera;
per dominare lo sciabordio dell'onda
quando si concede, prona, alla carena
e ascolta, per quanto
giunga flebile e lontano,
l'intraducibile canto.
Non mi aiuta Neruda:
non trovo parole
per metafore sole,
cadute ad una ad una.
Passeranno bianche anche stasera,
perché il sole è pallido,
le nuvole cui affidavo
fughe facili
lontano.
Passeranno e ricorderò come,
ebbro di supina quotidianità,
non ebbi mai il coraggio,
Ho montato le nuvole
col viaggio di ritorno:
quando le rendeva, a mezzogiorno,
il vento nei meriggi di Barbagia.
Su quelle si, su quella bambagia
adagiavo la mia dolce indolenza,
pago di poche note,
nell’immensa casistica
di accordi.
In quella solitudine
era vago ogni presentimento
e l’incertezza mi accodava
al fluire delle nubi:
lo spettatore romantico
sogna l’invisibile
e ciò che non sarà.
Fuggire era imperativo di finzione
e io pagavo per la debolezza
lo scorno di una grande povertà,
ma fuggire restava imperativo di finzione.
Che dolce la ristretta cerchia delle cose,
quando l’orizzonte si dilata e affoga
nella vastità confusa il mio penare !
Il treno è passato una volta, poi si é fermato,
e non ha ripreso la corsa, perché vi salissi esaltato.
Si è affievolito il fervore che credeva eterna
la stagione che comincia a vent’anni:
quando l’illusione si accende e scoppia nel cuore
e muove gli amori e gli inganni,
poi lascia sconfitti propositi e onore
svelando una caterva di danni,
frutto di un frainteso sermone.
Si è dischiusa la verità
a chi credeva che il mondo
girasse secondo la propria intenzione.
Ci appoggiamo ai bastoni, claudicanti e insicuri;
mettiamo le mani sui muri per avere un appoggio
nella nostra andatura che ha perso baldanza e postura
di chi tutto comanda. Ora si va piano e si sbanda.
E invece l’inverno ci manda il rigore e il suo gelo
per dirci della bellezza del cielo, quando, azzurro,
pioveva libertà sconfinata.
Bellezza passata che lascia rimpianto,
come quando l’autunno, dopo l’estate dorata,
ammanta di nuvole il cielo e porta su tutto
i venti dell’altro emisfero:
ogni cosa si stringe
e si accorcia come la carta bagnata.
Come il treno la vita non concede seconda tornata
e allora piango senza ritegno e pudore
per una stagione non consumata abbastanza.
Mi bagno di pioggia e malanno;
mi copro di nuvola e sogno;
mi brucio di sole e di vento:
contento e imbronciato, come il tempo ha voluto.
Il soffio cresce, il buio è rotto a squarci,
e l'ombra che tu mandi sulla fragile
palizzata s'arriccia. Troppo tardi
se vuoi esser te stessa! Dalla palma
tonfa il sorcio, il baleno è sulla miccia,
sui lunghissimi cigli del tuo sguardo.
Eugenio Montale
(da Finisterre, 1956)
Un'altra volta ancora, a passi lenti,
ci lasceremo indietro, di quel giorno,
i sommessi lamenti sulle scale,
ricordando l'amore
che non sarebbe potuto nascere altrimenti.
Se vuoi conoscere il tuo grado di libertà,
chiediti a cosa sapresti rinunciare.
Ad un passo da ieri
Dietro a una curva il mare luccica.
Non sento il rumore dell’onda,
ma so che c’è.
E' perenne moto
che si ripete a seconda del vento e delle correnti.
Le pareti di roccia non hanno colore:
forse un grigio disegnato da ombre e riflessi,
da arbusti che ondeggiano lenti alla brezza.
Non sento neppure l’odore che varia con le stagioni.
Alla prossima curva tutto scompare:
non vedo più il mare;
rimane il buio che inghiotte ogni cosa.
Attimi si perdono
osservando i bordi della strada.
Ci sono minuti in cui posso ritrovare tutto di me o niente:
quello che ho fatto o quello che ho rimandato.
Non c’è soglia più difficile da varcare
di quella che non consente di uscire.
La strada bruscamente si contorce
beffandomi ad un tornante.
Sento la forza della sterzata che spinge sui fianchi.
Nella mente pensieri sono in dissolvenza continua.
Gesti automatici fanno avanzare.
Un lungo stridore di gomme che graffiano l’asfalto;
la cintura di sicurezza preme sul petto.
Un attimo:
sospende la vita.
Un brivido è quel che rimane.
La portiera sbatte, come l’aria fresca del mare sul viso su cui gronda sudore.
Dove sono i pensieri di prima? Dove sono i problemi reali? Chi ho dimenticato e chi vorrei avere vicino, ora che il sipario mi si è aperto dinnanzi?
Una luce che non riconosco ondeggia lontana,
mentre a pochi passi dal tremore delle mie mani
un telefono continua a suonare.
(...)
Pace non trovo e non ho da far guerra
e temo, e spero; e ardo e sono un ghiaccio;
e volo sopra 'l cielo, e giaccio in terra;
e nulla stringo, e tutto il mondo abbraccio. /
(...)
Canzone, io t'ammonisco
che tua ragion cortesemente dica,
perché fra gente altera ir ti convene,
et le voglie son piene
già de l'usanza pessima et antica,
del ver sempre nemica.
Proverai tua ventura
fra' magnanimi pochi a chi 'l ben piace.
Di' lor: - Chi m'assicura?
I' vo gridando: Pace, pace, pace. /
Francesco Petrarca
S
u
b
l
i
m
e
!
Mariana
Paolo Luxardo 05/10/2011 21:49
un altro grande lavoro!Antonio Murrone 05/10/2011 12:12
Le tue foto dicono.SaraOcchi 04/10/2011 11:42
da estasi...- René - 03/10/2011 8:42
Hai dentro queste visioni...Senti...
Sei in contatto...
... e ci rendi partecipi!
Molto bella!
paolo pasquino 02/10/2011 23:57
che brava che sei.. tu sollevi il passo e ..scavalchi.Michele Pierro 02/10/2011 21:47
+++++++divina+
++++++
b. monica 02/10/2011 18:07
le composizioni ormai sono il tuo forte e il tuo genere. complimenti, anche per come mettono la mente di fronte ad un lavorio complesso e ricco, più che il singolo scatto. ciao lucy, monicaalessandro tagliaferri 02/10/2011 17:19
Ancora un dittico affascinante!gino lombardi 02/10/2011 15:07
Il lungomare, ovvero la linea di demarcazione tra la terra e il mare, ma anche il luogo in cui la terra e il mare si confondono e si fondono diventando una cosa sola. E così le palme diventano quasi salgemma, e così il gabbiano sembra riflettere il luccichio del mare, e così la sabbia arretra di fronte all’immenso mare. Proprio un altro filo di elaborazione e due fotogrammi diventerebbero di un bianco assoluto con le palme e gli scogli a dirci che si tratta di un lungomare, ma questo filo di elaborazione non c’è, proprio perché non è rappresentato il lungomare, ma la sensazione di esso.Quanto mi piace interpretare (provare a) le tue foto, se poi non ci prendo…pazienza
Gino
Roberto Zurletti 02/10/2011 8:56
Lucy oggi ha deciso di volare alto. Ha sellato la fantasia e poi flap flap flap fino alle altitudini di Jonathan. Poi torna, eh!Andrea Minichini 02/10/2011 7:07
..in rivasu sabbia di pietre
mi chiamasti...
..il mare si mosse
le palme si piegarono...
..i gabbiani fermarono le ali..
fu così che nacque..
..il vento
Carlo Atzori 01/10/2011 23:38
Un dittico bellissimo, alla tua maniera, mi piace, molto motlo molto.Preferita.
carlo
piero villanello 01/10/2011 23:25
Un gabbiano a sx,il mare a dx..........non resisto!!!!!!Ottimo lavoro Lucy,complimenti
Ciao,a presto
Piero