Africa
Tratto dalla raccolta di narrativa
Racconti di gente normale
Titolo: Africa
L'orologio del loro amore non conosceva il tempo presente, ticchettava al passato e al futuro, non andava dietro gli effimeri secondi, non si perdeva nella razionalità dei minuti, era un congegno elettronico nella precisione ma senza tempo, sospeso in aria a metà strada tra realtà e irrealtà. Per fare l’amore, data la loro giovane età, si vedevano di nascosto, ma in lui d’improvviso qualcosa cambiò. Quando lei più gli confidò che non le piaceva stare al telefono, lui le rispose "neanche a me". Le aveva detto una bugia, la prima nel loro rapporto. Per questo si rimproverò e promise a se stesso che non ce ne sarebbero state altre in futuro”. E invece continuò a mentirle fino al giorno in cui lei cominciò a sospettare e a sentire quanta crudeltà si celasse dietro la parola “menzogna”. Quando lui l’abbracciava sussurrandole frasi d’amore, lei percepiva che lui nascondeva un pugnale fatto di bugie stupide, dietro la schiena. La ragazza imparò come il dolore fosse direttamente proporzionale all'amore. Trovò il coraggio per mettere la parola fine a quel bacio che si scambiavano davanti a tutti, la mattina presto, prima di entrare a scuola.
Successivamente per lei ci furono giorni grigi. Anonimi. Giorni in cui il ticchettio della pioggia sui vetri era l'unico suono che riusciva a sopportare. Lo sentiva adatto per ricordare i momenti belli trascorsi insieme a lui che non aveva perso tempo e già stava con un’altra, una più grande di loro che faceva la commessa in un negozio dove spesso lui le aveva comprato dei regali. I suoi genitori, per farla reagire, le avevano regalato una vacanza-studio e al ritorno lei, nel rivedere lui, sentì scendere dentro una pioggia di lacrime interiori, diversa da tutte le altre. Una pioggia che non faceva rumore. Felpata come l'enigmatico passo del felino e materna come la neve che timidamente copre il brutto delle cose. Una pioggia che cercò di nascondere agli occhi indiscreti di chi le stava vicino. A quella pioggia affidò l'ennesimo desiderio, quello di portare via tutti i ricordi dell’amore vissuto con la stessa placida irruenza del fiume in piena che nella sua azione ripulisce tutto, restituendo la vita sotto forma di foglio di carta, bianco, privato per sempre dei tanti desideri e ricordi di cui ormai non erano rimasti che insignificanti scarabocchi. Ed è proprio su quel foglio che l’indomani scrisse per la seconda volta la parola “fine”.
Si rividero dopo qualche anno, il giorno della vigilia di Natale. Sotto il vischio lui le confessò il motivo per il quale, quando lei lo aveva lasciato, non aveva fatto nulla per riconquistarla. Le parlò di Salim che con i suoi discorsi profondi e sinceri l’aveva condotto nel tratto desertico libico-nubiano, quello facente parte del Sahara, compreso tra Libia, Egitto e Sudan, dove il paesaggio è formato solo ed esclusivamente da dune di sabbia senza alcuna oasi. Sopravvivendo da solo, in compagnia dell'immensità di quei luoghi, aveva potuto misurare il proprio Io. Delimitarlo, definirlo, foggiarlo. Lì aveva finalmente trovato la propria frontiera. Era partito senza salutare nessuno. Le spiegò che quel viaggio era stato una faccenda privata. Intima. Una questione personale. Aveva lasciato due lettere. Una per i suoi familiari e una per lei dove le chiedeva una cosa assurda, di sposarlo quando e se fosse tornato. Durante la permanenza in Africa aveva scritto una sorta di memorandum vitae sul quale giorno per giorno faceva delle annotazioni, lo mostrò a lei che con mani tremanti lo aprì e sulla prima pagina lesse ad alta voce.
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A lei la lettera che lui le aveva scritto non era mai arrivata tuttavia l’amore che provava per lui era stato più forte del dolore. Lo amava ancora e con tutte le sue forze.
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